EVASIONE CULTURALE A KM0

IN MOLTE PARTI DEL MONDO NON SONO TUTTORA RICONOSCIUTI I DIRITTI PIU’ ELEMENTARI ALLE DONNE: EPPURE, PROPRIO AD UN TIRO DI SCHIOPPO DA NOI, OLTRE DUE SECOLI FA, UN SOVRANO, CON UN EDITTO, FORSE PRIMO FRA TUTTI, RICONOBBE LORO DIGNITA’ E LIBERTA’.

I notiziari televisivi ogni giorno ci rimandano dall’Iran le immagini delle sollevazioni popolari, in cui, soprattutto le donne rivendicano la propria libertà per essere semplicemente se stesse, anche nel solo modo di vestire e di autodeterminarsi nella loro vita quotidiana, senza subire la sudditanza di chicchessia. Per gli occidentali tutto appare assurdo ed inconcepibile, come appare incredibile che ai nostri giorni esista ancora una “polizia morale” o religiosa, che stia a vigilare sulla condotta delle donne, che non possono camminare per strada se non accompagnate dal marito o da un congiunto maschio, che non possono decidere con chi sposarsi, perché sussiste ancora la pratica dei matrimoni combinati, che non sono libere di vedere il mondo se non attraverso un opprimente velo ed intravederlo di sbieco, solo se sicure di non essere viste. Questo clima di oppressione incompatibile con i tempi moderni non è caratterizzante del solo dell’Iran, ma anche del Pakistan e di altri stati aventi un’analoga concezione vessatoria della donna. La stessa Italia, con l’arrivo di numerose comunità di stranieri, talvolta, con sbigottimento, assiste al radicarsi di consimili costumanze. La ragazza pachistana di nome Saman, scomparsa oltre un anno fa e della quale solo di recente è stato ritrovato il corpo ci ha fatto conoscere una realtà estranea alla nostra cultura, ovvero la possibilità che un padre ed una madre possano volere la morte di una figlia per il solo fatto di essersi rifiutata di convolare a nozze, peraltro combinate, con un tizio che vive in Pakistan e che forse neanche conosceva. E che tutto ciò fosse quasi naturale nel contesto ambientale di provenienza è stato attestato dal concorso nell’omicidio di uno zio e di un cugino. Quanto rassegnato in breve ci fa venire alla mente il contenuto del cosiddetto “Codice leuciano”, ovvero dello “Statuto di San Leucio” (Origine della popolazione di S. Leucio e suoi progressi fino al giorno d’oggi, colle leggi corrispondenti al buon governo di Essa di Ferdinando IV, Re delle Sicilie. Napoli, MDCCLXXXIX), emanato nel 1789 da Ferdinando IV di Borbone, che altro non era se non una raccolta di leggi che, nel regno, disciplinavano nel dettaglio la vita della Real Colonia di San Leucio. Orbene, con un atto normativo, veramente rivoluzionario per quell’epoca (sono passati circa 233 anni da allora), veniva regolamentata la vita sociale di una piccola comunità nella quale il lavoro di una donna veniva equiparato in tutto e per tutto a quello dell’uomo. Si trattava di un riconoscimento epocale come lo fu anche quello del diritto accordato ai giovani di sposarsi senza aver bisogno del consenso dei genitori. Già allora, dunque, in quella parte della nostra penisola, ai genitori era vietato di interferire negli affari di cuore dei rispettivi figli. Quelli rammentati erano soltanto una parte dei diritti riconosciuti agli abitanti di quella società ideale, perché era previsto, in aggiunta ad essi, il diritto allo studio, quello della remunerazione anche durante la fase
dell’apprendistato, la concessione della dote, da parte del Sovrano, alle donne convolate a nozze, l’assistenza medica ed altro. In questi giorni pervengono dall’Iran terribili notizie di giustizia sommaria: con le impiccagioni vengono punite le lotte di piazza finalizzate al riconoscimento di diritti elementari, a cui modelli culturali anacronistici ed antistorici, codificati dalla sharia, oppongono un netto rifiuto. Eppure quel mondo così lontano dalla nostra cultura e dalle tradizioni occidentali è, purtroppo, già tra di noi ed il supplizio patito dalla povera Saman ce lo ricorda.

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