Chi capita per la prima volta a Brezza nella principale piazza della cittadina –Piazza Fontana-, pressoché antistante la chiesa di San Martino vescovo, rimane colpito da una lapide dedicata alla memoria di Clemente Carlino. Molto significativa appare la relativa epigrafe che si trascrive: ”A Clemente Carlino nato in questa casa che compiendo tutto il suo dovere per evitare la guerra civile morì giovane e baldo in Castellammare di Stabia il XX Gennaio MCMXXI”. L’epigrafe è sormontata dall’incisione del copricapo in uso ai carabinieri in alta uniforme, nel gergo comune denominato “lucerna”; trattasi di un lavoro di pregevole fattura poiché riproduce alla perfezione il simbolo più connotante dell’arma dei Carabinieri. L’epigrafe, benché veicolante alla perfezione il personaggio che si voleva celebrare e la vicenda che lo riguardava, suscita qualche perplessità in chi presta maggiore attenzione al suo contenuto. Infatti, la lapide, pur recante il simbolo per antonomasia dell’Arma dei carabinieri non indica il Carlino come suo appartenente. Altro elemento di riflessione è da ricondursi alla circostanza che la morte dello stesso viene ricondotta alla guerra civile del 1921, senza indicare alcunché circa la responsabilità dell’omicidio o del relativo movente. Infine, ultimo elemento di approfondimento riguarda la mancata indicazione della data di apposizione della lapide, nonché dell’Ente o della istituzione che la collocò. Il contenuto dell’epigrafe, pertanto, ha necessitato l’esecuzione di ulteriori indagini. Come al solito la rete internet ci è venuta in soccorso, rivelandoci una vicenda retrodatante a poco più di un secolo addietro e conosciuta a livello locale perché richiamata in alcune recenti occasioni celebrative: il Carlino, nato a Brezza il 28.06.1881, rivestiva il grado di maresciallo dei carabinieri, allorché venne assassinato in data 20 gennaio 1921, nella Piazza Municipio di Castellammare di Stabia (NA). In quella città, a seguito di un favorevole risultato elettorale si stava insediando una giunta rossa che tra i suoi primi atti voleva ridenominare la piazza del Municipio in Piazza Spartaco, per dedicarla alla memoria di Rosa Luxemburg e karl Liebknecht, entrambi appartenenti ad un movimento politico radicale di sinistra, assassinati in Germania qualche anno prima. L’iniziativa socialista era fermamente avversata dai fascisti, che volevano portarsi presso il Municipio di Castellammare di Stabia per contrastare, anche con vie di fatto, i lavori di quella giunta. Nella piazza antistante il municipio si radunò una folla tumultuosa che minacciava di riversarsi in esso. Allo scopo di evitare dei prevedibili violenti scontri tra gli opposti schieramenti politici furono predisposti degli adeguati servizi di polizia per la disciplina dell’ordine e della sicurezza pubblica. Il funzionario di polizia, dirigente dei servizi, ed il Maresciallo dei carabinieri Carlino Clemente, si interponevano tra le esagitate compagini, ormai prossime ad uno scontro fisico. L’opera di estenuante mediazione non sortì un effetto risolutivo, tant’è che la situazione dell’ordine pubblico degenerava al punto che in un momento di maggiore concitazione si sentì esplodere un colpo d’arma da fuoco che attingeva mortalmente il Maresciallo Carlino che, nel frangente, si trovava proprio al fianco del Commissario di Pubblica Sicurezza, responsabile del servizio. A quel colpo d’arma da fuoco ne seguirono molti altri, lasciando sul terreno altre sei vittime ed innumerevoli feriti. A seguito dei gravi fatti di sangue furono eseguiti centinaia di arresti, però solo nell’ambito della sinistra. Ne seguì un processo a carico di una quindicina di indagati, tutti assolti al termine della vicenda processuale; forse il colpevole andava cercato proprio tra i fascisti, ma si preferì sorvolare in quella direzione. In ordine a quei tragici eventi, la sinistra era certa che la responsabilità dell’omicidio del Carlino dovesse essere addebitata ai fascisti. Sta di fatto che nessuno rispose di quell’omicidio di natura politica che possiamo ritenere uno dei primi consumati durante il ventennio fascista. La giovane moglie del Carlino, per il dolore sofferto, uscì fuor di senno tanto da concludere la sua esistenza terrena in un manicomio del salernitano. La rievocazione della tragica morte del giovane Maresciallo dei Carabinieri Carlino Clemente per circostanze mai chiarite processualmente, ci induce ad una riflessione: fu, davvero, l’incolpevole vittima delle tensioni politiche del “ventennio” del decorso secolo. Come servitore dello Stato era morto nell’adempimento del proprio dovere e, forse, bisognerebbe accordargli -anche ad un secolo di distanza dalla sua dipartita- un maggiore riguardo per la sua memoria, magari anche con un cippo nella città natale oppure con l’intitolazione di una strada o di una piazza, se ancora non provvedutovi, o di una scuola. E, naturalmente, ricordarsi, questa volta, di anteporre al suo nome il grado rivestito di Maresciallo dei Carabinieri, Arma nella quale aveva militato, perché ancora oggi bisogna fare delle ricerche per sapere chi era Clemente Carlino.