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LA DOMENICA, GIORNO DEL SIGNORE…di don Franco Galeone

15 settembre ✶ XXIV Domenica del tempo ordinario

Gesù, il messia sofferente, è uno scandalo! (Mc 8,27)

Per voi, chi sono io? Gesù solo una volta esplicitamente fa riferimento al “servo sofferente” (Lc 22,27), ma i riferimenti impliciti nei vangeli sono numerosi; ora, questa concezione del messia come servo sofferente (I lettura) è quanto di più scandaloso si poteva immaginare per un ebreo: la reazione di Pietro è indicativa (vangelo). Vi è un modo di ragionare secondo Dio e uno secondo gli uomini; il criterio che li distingue è la croce; la croce anche oggi continua ad essere per molti “follia” e “scandalo”. Gesù non vuole illudere nessuno; i discepoli guardano a lui come a un trionfatore, a un signore, non come a un servo, per giunta sofferente; nella loro concezione trionfalistica non c’è spazio per la sofferenza. Ma giunge il momento in cui essi devono sapere chi è quel Gesù di Nazaret che essi vogliono seguire; perciò Gesù comincia a insegnare loro “apertamente”.

La chiesa tra ‘gerarchia’ e ‘profezia’ C ’è un contrasto tra il “Beato te, Pietro, su di te costruirò la mia chiesa” (Mt 16,17) e le altre parole di Gesù: “Va’ via, lontano da me, Satana, perché tu ragioni come gli uomini!” (Mc 8, 33). Cerchiamo di capire. Il vero capo della chiesa non è il papa né il collegio dei vescovi né la curia romana, ma è lo Spirito Santo! E lo Spirito è sovranamente libero, sfugge a tutti coloro che vogliono imprigionarlo in un uomo, in una formula, in un tempio, in un codice, in un oggetto; ha scelto come dimora la chiesa, ma ha pure dappertutto innumerevoli “residenze”. Il dramma della chiesa è la tensione tra l’istituzione che tende a irrigidirsi e ad autogiustificarsi, e l’ispirazione che tende a scavalcare ogni autorità e controllo. Ma non vi è contraddizione fra il carisma dell’autorità e quello dell’istituzione; la lotta non è tra i carismi ma tra le persone. Quello che occorre è che l’istituzione dialoghi sempre con l’ispirazione: il capo non è colui che detiene il potere, ma colui che è docile allo Spirito, che accoglie ogni buona ispirazione: “Non la carne e il sangue te l’ha rivelato, ma il Padre mio” (Mt 16,18). L’autorità non è potestas ma paternitas! L’autorità perde valore quando si limita solo a regolare, legiferare, strutturare, castigare … allora la chiesa rischia di essere governata come una qualsiasi società, una società di “opere pie”, che però non conosce la libertà dello Spirito.

Le allettanti promesse del potere, del successo, del denaro! Dobbiamo chiederci: perché su questa pagina del vangelo si sono versati fiumi di inchiostro per dimostrare che Gesù ha dato il primato a Pietro? Perché tanta lussureggiante teologia su questo primato e nessun commento su quelle parole che vengono dopo: “Va’ lontano da me, satana!”, che pure sono parole di Gesù? Il perché è che questo “primato” è stato letto secondo le categorie del potere, fino a definire il papa “re dei re e signore dei signori”. E’ pericoloso ricordare che ogni autorità deve imitare quella di Cristo, che il primato del papa è un primato di funzione e di servizio, che nel cristianesimo non ci sono onori ma responsabilità, non presidenze ma “grembiuli”, non posti da coprire ma fratelli da servire, non professionisti di carriera ma dilettanti di amore. Diceva Ignazio di Antiochia che, se primati ci devono essere, uno solo è accettabile: il primato e la presidenza dell’amore!

Il buon Simone … il cattivo Pietro Gesù domanda agli apostoli: “Ma voi, chi dite che io sia?”. E Pietro risponde: “Tu sei il messia”. Pietro si chiama anche Simone, ma quando viene chiamato Pietro, questo significa che è in contrasto con Gesù; il contrasto è profondo, perciò viene chiamato con il soprannome negativo di Pietro per ben 3 volte (il numero 3 significa “ciò che è completo”). Pietro ha risposto bene, Gesù è il messia, ma sbaglia quando lo intende come messia politico! Perciò Gesù lo “sgridò” (ἐπετίμησεν); Gesù utilizza questo verbo quando comanda al vento e alle onde nel mare (Mc 4,39), e quando comanda agli spiriti immondi (Mc 9, 25; Mt 17,18; Lc 9,42). Da tutto questo racconto si comprende che né a Pietro e né agli altri apostoli entrava nella testa che Gesù potesse salvare il mondo proprio come messia sofferente. Quella domanda di Gesù arriva oggi anche a noi. A lui non interessa sapere come la pensano gli altri, ma sapere che siamo disposti ad arrivare sino al Calvario, dove tutto sembra fallire e dove tutto risorge. Insomma, con Gesù non si possono fare mai quattro chiacchiere sterili. Una semplice risposta, e la vita diventa sequela o rifiuto.

Buona vita!

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