EVASIONE CULTURALE A CHILOMETRO ZERO E AD EURO UNO – Viviamo nella storia, nell’arte e nella bellezza: tutto è a portata di mano. Bisogna soltanto riscoprirlo perché tutto è già intorno a noi e fruibile a costo pressoché zero; il costo di un caffè.
Nella città di Capua, in via Pier Pier della Vigna (noto anche come Pier delle Vigne), si trova la caserma Mezzacapo, la quale soltanto di recente è stata liberata da una gigantesca impalcatura di tubi innocenti, che furono collocati sulla fiancata di quell’immobile da tempo immemorabile. Ricordo di averla sempre vista in quel posto. Pure l’impalcatura, col tempo, era divenuto un reperto archeologico. Se non sbaglio anche la rimozione di quel mostro di ferro deturpante la bellezza di quella storica strada è da ricondursi all’impegno ed alla tenacia del professore Franco Fierro, direttore responsabile del mensile Block Notes, che ne fece oggetto di una decennale e defatigante battaglia, non solo per fini estetici, quanto anche per recuperare completamente alla circolazione la sede stradale, notevolmente ristrettasi a causa dell’impalcatura che insisteva sulla pubblica via, senza che si intravedesse la fine dei programmati lavori di ristrutturazione. Finalmente, ora che non c’è più alcun impedimento, possiamo avere la possibilità di osservare la caserma Mezzacapo in tutta la sua immensa estensione. Fatta la necessaria premessa sulla caserma in questione, spiego il motivo che mi ha spinto a farlo. Nel mese di giugno del 2020, è stato pubblicato un documento, scritto subito dopo l’unità d’Italia, ed attribuito a Filippo Curletti, dal titolo “La verità sugli uomini e sulle cose del Regno d’Italia”, riscoperto e dato alle stampe a cura della studiosa Elena Bianchini Braglia. Quello del Curletti, più di un libro si tratta di uno sconcertante scritto privato, dapprima conservato nell’archivio della famiglia De Volo e poi definitivamente in un archivio pubblico. Infatti, di esso parlava la prima volta Teodoro Bayard De Volo, ministro del duca di Modena Francesco V, che nel redigere una biografia del suo duca, pubblicata a Modena tra il 1878 ed il 1882, si imbattette in alcuni documenti riservati, rinvenuti nell’archivio di famiglia, e siglati con le sole lettere J. A., agente segreto del conte Cavour. Oggi, il documento in questione è conservato presso l’Archivio di Stato di Modena. Il De Volo spiegava che “Le rivelazioni di J.A.” furono pubblicate la prima volta a Bruxelles, in lingua francese, e, soltanto dopo, tradotte in italiano ed attribuite a Curletti, agente segreto di Cavour e capo della polizia politica del Farini. Orbene, le rivelazioni in questione, dopo un oblio ultra secolare (sono passati più di 120 anni), sono state riscoperte dalla studiosa Elena Bianchini Braglia che, nel pubblicarle nel 2020, fornisce anche un suo pregevole commento sulle notizie attinte, in particolare, su quelle relative alla sottrazione di argenteria ed abiti, accertato nel palazzo ducale, nell’anno 1860, ed imputata ingiustamente allo stesso Duca Francesco V, quando si era dato alla fuga. Secondo l’autore del riservatissimo documento J.A. (Curletti), invece, ad impadronirsene fu Luigi Carlo Farini, dittatore dell’Emilia Romagna, durante le battaglie risorgimentali. Ed il Curletti ne era certo, in quanto, a quell’epoca, collaborava strettamente col Farini. Per esigenze di spazio, mi limito ad accennare il compito che il Curletti ricevette dal Cavour nel 1859, per provocare la sollevazione delle Romagne e della Toscana, contro i legittimi sovrani, al fine di provocarne la successiva annessione al Regno del Piemonte. Mi riconduco a quanto da lui stesso scritto: ”Tutto era pronto per una rivoluzione; i comitati che agitavano gli spiriti in questi due paesi sotto la direzione del Conte Cavour, domandavano al ministro il segnale dell’azione e qualche uomo sicuro per operare il movimento. Io fui incaricato di questa missione e mandato da prima con ottanta carabinieri travestiti a Firenze per mettermi a disposizione di Buoncompagni. ….. I miei uomini dovevano disperdersi per gruppi nei quartieri esterni della città, a dieci ore cominciare a produrre degli assembramenti colle grida di <Viva l’Indipendenza ….. Abbasso i Lorena!>. Il Curletti dava una sua spiegazione delle rivoluzioni che –curiosamente- scoppiarono pressoché contemporaneamente in quella parte della penisola italiana: “Esse (le rivoluzioni) sono quasi sempre l’opera di qualche uomo a cui due o tre funzionari comprati aprono le porte e di cui il popolo, per lo più indifferente alle questioni che si agitano, diventa il complice senza saperlo, prestando loro per curiosità o per desiderio di rumore il soccorso imponente delle sue masse”. Torniamo al Curletti, uno dei più fidati collaboratori del Farini. Ecco quanto scriveva: “Il primo ordine che Farini mi diede entrando nel palazzo d’Este, fu di impadronirmi di tutte le chiavi, comprese quelle della cantina. E’ inutile, mi disse, di fare un inventario. ….. Tutta l’argenteria, collo stemma ducale, fu dato a fondere. Ove ne è ito il prodotto?”. Il Farini, però, era molto furbo perché, raccontava il Curletti, gli aveva dato un ordine che gli consentiva di dissimulare la realtà delle cose. Infatti, gli “ordinò di comunicare ai giornali un articolo, che tutti hanno potuto leggere, e nel quale era detto che il Duca (Francesco V), partendo, aveva portata via tutta la sua argenteria e tutti gli oggetti di qualche valore, e non aveva, per così dire, lasciato che le quattro mura: anche le cantine erano vuote”. Che furbata: già nella seconda metà dell’ottocento i vincitori facevano un uso strumentale della stampa. In quel contesto di corruzione e di ruberie si inserisce un episodio citato dal Curletti: “La tavola del governatore (Farini) era stata fornita da un tale Ferrari, che teneva l’albergo di San Marco a Modena. Suo padre è capo dello stato Maggiore di Francesco V (Il duca costretto alla fuga con le sue truppe). Al termine di otto giorni (di gozzoviglie) la lista del Ferrari (il titolare dell’albergo) ammontava a 7.000 franchi. Farini trovò concordo di pagare questa somma con un brevetto (grado) di colonnello che Ferrari accettò. Costui si trovò tutto ad un tratto posto al livello di suo padre che conta 30 anni di servizio. Il figlio comanda oggi la piazza di Modena, ed il padre è in esilio”. Il Curletti, nel rammentare le singolari modalità con le quali il suo governatore usava saldare con disinvoltura i debiti contratti, coglieva l’occasione per citare altri due similari vicende, di cui una delle due riguarda i fratelli Mezzacapo alla cui memoria è intitolata la caserma capuana, dismessa da tempo: “Per essere giusto bisogna riconoscere che Farini non era l’inventore di questo sistema di economia domestica. Il barone Ricasoli aveva già pagato col medesimo metodo Alfredo Bianchi, fratello di Celestino Bianchi, a cui egli doveva circa 6.000 franchi per nolo di carrozza e cavalli. Alfredo aveva permutato la sua quietanza contro una nomina di segretario al Ministero dell’Interno (Evidentemente preferì un alto incarico presso un importante ministero in luogo di un grado di ufficiale superiore). Questa metamorfosi (ecco il riferimento ai Mezzacapo) di un cuoco (si accenna al Ferrari, titolare dell’albergo modenese) in colonnello non è più sorprendente di quella di un cocchiere in tenente colonnello di stato maggiore, trasformazione di cui noi abbiamo un esempio in Mezzacapo, fratello del generale di questo nome. Egli si è addormentato una sera colla frusta in mano e si è risvegliato la mattina colle spallette di aiutante di campo di suo fratello. Tutta Torino lo conosce, non già, ben si intende, come tenente colonnello”. Tutto questo avveniva nel 1859, nell’Italia preunitaria; i fautori dell’unificazione nazionale, con questi precedenti, accennati soltanto in parte, ebbero poi la pretesa di voler emendare il Regno delle Due Sicilie, annesso il successivo anno 1860, dipinto per corrotto e liberticida. Lungi da me l’idea di voler condannare in toto il Risorgimento; si vuole soltanto far emergere la possibilità che il processo di unificazione sia avvenuto, come rivelato dal Curletti, più sulla scorta di manovre politiche ed azioni di strumentalizzazione delle masse, ad opera del Piemonte, che non su iniziativa delle popolazioni, rimaste indifferenti spettatrici del nuovo assetto politico e territoriale. Anzi, al contrario, nell’ex Regno delle Due Sicilie, il brigantaggio, supportato dal generalizzato consenso popolare, evidenziò come quella nuova realtà fosse stata avversata. L’episodio della nomina a tenente colonnello di un Mezzacapo, un momento prima soltanto cocchiere, unitamente alle altre rammentate compensazioni di debiti personali con la concessione di incarichi pubblici, è stato citato soltanto per far evidenziare come la corruzione e le cattive pratiche amministrative non erano soltanto lo stigma nefasto attribuito al Regno delle Due Sicilie, ma censurabili condotte retrodatanti l’unità della penisola e connotanti anche il Centro ed il Nord Italia. L’incursione nelle “rivelazioni” del Curletti, oltre ad informarci della fortunosa carriera di uno dei fratelli Mezzocapo, ci ha fatto conoscere anche i mezzi non sempre trasparenti sottesi al processo di unificazione ed il potere della stampa già allora utilizzata per distorcere la realtà fattuale; veniva additato quale responsabile di un furto, mai commesso, come ricordato nel caso prospettato, proprio la vittima di un più grave reato. Per evitare fraintendimenti, circa la mia posizione nei confronti della storia risorgimentale, chiudo la mia breve riflessione con le parole, che condivido in pieno, dello studioso Walther Boni il quale a proposito delle rivelazioni del Curletti, ebbe a dire: “Molti degli uomini del Risorgimento soffrirono il carcere ed affrontarono la morte per aver violato le norme del regime agonizzante; altri, più cauti (e diremmo più scaltri e spregiudicati) trassero dal nuovo ordine vantaggi anche personali”. Stavo dimenticando di rendere noto al lettore che anche il tenente colonnello Mezzacapo Luigi, arruolato nell’esercito sardo con le modalità illustrate dal Curletti, fu promosso generale al pari del fratello Carlo; infatti il marmo che si trova all’ingresso del quartiere militare di Capua reca la dicitura “CASERMA GENERALI LUIGI E CARLO MEZZACAPO”. Già ufficiali borbonici, dopo alterne vicende, erano transitati nell’esercito sabaudo combattendo contro il Regno delle Due Sicilie, divenendo entrambi anche senatori del Regno d’Italia: la casa Savoia sapeva ben ricompensare gli ufficiali borbonici che, tradendo il giuramento prestato, guerreggiarono poi contro la propria Patria.
Complimenti, Giulio, quindi, i mezzacapo, sono stati traditori, della causa borbonica
Il testo offre un piccolo spaccato di una grande realtà non disvelata da coloro che, da “vincitori” , si affrettarono a scrivere tendenziosamente la Storia dell’unità d’Italia. A noi scolari degli anni “50 e “60 fu inculcato un profilo disastroso del Regno delle due Sicilie, facendocelo conoscere come arretrato, povero, ignorante, succube e, dopo l’Unità/annessione, anche pieno di “briganti” ladri, assassini e devastatori”.
Temo che le cose siano andate in ben altro modo e che quella “Resistenza” non ci sia stata fatta conoscere come tale.
Troppi i documenti e i libri (specie di fonte inglese) a raccontare tutt’altra storia…..
così come le evidenze, oggi, sotto i nostri occhi, a partire dalla grandiosa Reggia di Caserta, dall’esperimento di nuovo modello di nucleo societario/produttivo di San Leucio, dalla prima ferrovia in Italia, dal più lungo tunnel, dalla grande acciaieria calabrese (poi smontata e portata a Terni dopo il 1860) e così via.
Senza discutere l’Unità, sarebbe giusto dare di quel meridione l’immagine vera.