Non c’è persona a Capua che non conosca Annamaria Cembalo, un vulcano di donna, versatile, poliedrica, di incontenibile energia per ciò che riguarda la sua passione: il teatro di cui è autrice, regista e attrice.
Ciò che non si sa, forse, è che Annamaria è una studiosa appassionata ed è, come lei stessa ama dire di sé, alla ricerca continua della conoscenza perché, sottolinea, non è mai abbastanza ciò che si sa.
Questo suo desiderio di approfondimento continuo si lega al suo amore incondizionato per la lingua napoletana.
Annamaria mi racconta, durante la nostra chiacchierata, a dire il vero anche molto divertente, che studia il napoletano da quando aveva 17 anni.
Mi sorprende così tanto, a questo punto, che comincio a “bombardarla” letteralmente di domande su come è nata questa sua passione.
Subito mi spiazza dicendo che è talmente innamorata della sua terra che il mezzo migliore per conoscerne l’essenza, l’anima è studiarne la lingua.
La lingua di un popolo è veicolo della sua stessa anima, essa è vita, arte, cultura e identità.
Il rapporto tra la cultura di un popolo e la sua lingua è un rapporto implicito per il semplice fatto che la cultura si trasmette attraverso la lingua, scritta e orale.
La lingua napoletana (diventata patrimonio dell’UNESCO e seconda lingua ufficiale d’Italia) è, dunque, espressione della cultura partenopea e Annamaria Cembalo sceglie il suo studio per giungere al cuore di questa splendida terra.
I suoi maestri sono Salvatore Di Giacomo, Ferdinando Russo e Raffaele Viviani ma anche il “Principe della risata”, Totò, senza tralasciare il grande Eduardo, il quale, puntualizza, fa uso, però, di un napoletano “italianizzato”.
La chiacchierata mi appassiona sempre di più e da docente di lingua inglese, le chiedo se l’approccio allo studio del napoletano sia lo stesso che per la lingua straniera confermando che sì, lei ne studia la pronuncia, la grammatica e l’ortografia.
Annamaria non è nuova alla scrittura di opere in napoletano e ne menziona almeno due: “E… la penna salvò Biancaneve” e “Mai più Shoah” entrambe vincitrici di premi nazionali.
Effettivamente la chiacchierata è sempre più accattivante e, finalmente, mi racconta che a gennaio terrà a Capua, città del Placito, un corso di lingua napoletana di dieci incontri di due ore a settimana.
Anche il nome del corso non poteva essere banale “ ‘A Lava d”e Quartieri” dove la parola “lava” simboleggia la lingua ( immagine delle lingue di fuoco della lava del vulcano) che si riversa nei “quartieri” dove se ne trova l’aspetto più verace.