In un marasma di colpi e contraccolpi di scena, scandali, sesso, droga, politica, intrighi, false testimonianze, malaffare e chi più ne ha, più ne metta, viene avviato un nuovo, probabilmente il vero processo che si apriva il 21 gennaio del 1957 presso il Tribunale di Venezia, proprio per ricercare un ambiente più “sereno” e per evitare problemi d’ordine pubblico a Roma.
Tutti gli accusati negano di avere partecipato a questo od a quel festino di cui tanto si è parlato sui giornali con tanto dell’affermazione di Piero Piccioni: “La signorina Montesi non l’avevo mai vista in faccia”.
In questa vicenda, purtroppo per lei, è il caso di dire che entra in scena anche la nota attrice Alida Valli, fidanzata del Piccioni, che garantisce di essere stata, quella sera, a Ravello insieme a lui e che non poteva muoversi per un forte mal di gola.
Circostanza, tra l’altro, confermata da altri testimoni, per il valore che ormai potessero avere le testimonianze in quegli anni ed in quelle circostanze…
Alla fine tribunale riconosce tutti gli imputati innocenti, anche perché si era giunti a far diventare il processo del caso Montesi come una passerella di varietà dove tanti ambivano a salire per un ritorno d’immagine mediatica. Le testimoni, Bisaccia e Caglio, furono inquadrate come confusionarie tant’è che continuavano a smentirsi a vicenda, a ritrattare per poi riconfermare.
Il processo scagionò tutti per non aver commesso il fatto, anche Tommaso Pavone, capo della polizia dell’epoca, ormai in pensione, venne scagionato dall’accusa di aver tentato di insabbiare l’omicidio.
Il processo non arrivò mai ad identificare l’omicida, però portò all’acquisizione di notizie interessanti sul conto di Ugo Montagna, proprietario ed “amministratore” della tenuta di Capocotta.
Intanto non era marchese e da un rapporto dei Carabinieri redatto nel 1941, in pieno regime, risulta che era “uso dare convegni a donne di dubbia moralità allo scopo di soddisfare il piacere di personalità del mondo politico”.
Il marchese de noiartri era stato addirittura un agente dell’Ovra, il servizio segreto fascista, per poi vestire i panni dell’informatore dei nazisti dopo l’8 settembre del ’43 ed infine, fervente sostenitore repubblicano di stampo democristiano.
Il trasformismo è un’arte sopraffina.
A nulla valse la scoperta della sabbia nelle parti intime, evidenziata dall’autopsia disposta dopo un anno dalla morte con tanto di riesumazione della salma e che poteva capitare, con molta probabilità, solo dopo un rapporto sessuale sulla spiaggia.
L’affaire Montesi fu un vero e proprio oceano di fango che travolse tutta Roma e l’Italia intera, arrestandosi solo davanti le mura leonine scansando il sacro soglio di Pietro.
Nell’affrontare questa vicenda mi sono immerso in un’infinità di articoli giornalistici, sia dell’epoca che di oggi, trovandomi quasi a ridere a denti stretti di come quella che si può definire “la guerra politica del ‘53” si sia svolta sui quotidiani dell’epoca, giornali di partito e non…
Pietro Ingrao, storico leader comunista di quegli anni insieme a Togliatti, era il direttore dell’Unità quando, il 7 febbraio del 1954, un anno dallo scoppio del caso Montesi, scrisse: “Collegate all’affare Montesi, in una successione drammatica, sono venute le rivelazioni, o almeno le denunce, circa un torbido settore di affari equivoci, di traffici di droga, di corruzione, che sconfinava nel mondo politico ufficiale. E il caso giudiziario si è mutato in una seria “questione morale”. È vano che il partito dominante protesti”.
Ingrao deve aver avuto un infarto quando apprese che l’avvocato penalista Giuseppe Sotgiu, definito dai più “moralizzatore dei costumi”, comunista di provata fede e difensore sia di Cesarini Sforza che di Silvano Muto, nonché presidente della Provincia di Roma, era stato beccato in flagranza mentre entrava ed usciva con la moglie, la nota pittrice Liliana Grimaldi, da una casa di appuntamenti romana dove assisteva, pare con molto gusto, a supervisionare i rapporti sessuali che avvenivano tra la propria moglie e giovani gigolò del luogo e che, tra l’altro, pare fossero anche minorenni.
Viene da dire: all’anima del moralizzatore dei costumi …
Nota a margine per evitare di essere etichettati come complottisti: in quel marasma, pochi fecero caso alle indagini della questura romana, ormai caduta in disgrazia per il tentativo di insabbiamento del caso Montesi, che indagava su un’altra misteriosa morte, avvenuta il 23 marzo 1954 e che interessava una tale “Pupa”, amministratrice delegata di una nota casa di appuntamenti della capitale della cristianità e che qualcuno insinuò avere troppe notizie su ciò che accadde alla povera Wilma.
Conclusioni
“Nel paese delle menzogne, per arrivare alla verità, bisogna incontrare molti bugiardi… “
Et intelligenti pauca