E’ difficile stabilire che cosa è lo stato emergenziale. Ci si accorge di ciò solo quando, pur sussistendo situazioni di allarme, esse non vengono recepite dalle istituzioni e, pertanto, restano confinate nella normalità quotidiana. Appena la stessa vicenda viene riportata dai mass media, televisioni o giornali, viene a configurarsi uno stato di emergenza che definirei mediatico. La locuzione “stato di emergenza” veicola un preciso significato giuridico; invece quella che ho definito di ordine mediatico ha soltanto la capacità di richiamare l’attenzione della pubblica opinione su di una certa problematica e di farla divenire meritevole di probabile monitoraggio da parte delle istituzioni. In qualche metropoli italiana si sono visti scorrazzare intere famiglie di cinghiali per le vie cittadine, soprattutto in prossimità dei contenitori dell’immondizia. La stessa fenomenologia è entrata ormai nell’agone politico per cui ogni amministrazione comunale che gestisce i problemi di una la città si vede rinfacciata dalle opposizioni la cattiva gestione di essa, mentre quella emergenza viene da molto lontano, cioè da decenni di trascurataggine da parte di tutte quelle istituzioni che avrebbero dovuto provvedervi in passato per contenerla, trattandosi di una criticità molto datata, che travalica gli angusti limiti comunali, essendo ormai di portata nazionale. L’emergenza cinghiali diviene, pertanto, di rilevanza mediatica oppure no a seconda dell’interesse delle diverse compagini politiche, che poi non fanno quasi mai niente per provvedervi; e l’interesse pubblico continua a rimanere disatteso. Ogni territorio boschivo o con esso confinante, sia pure in diversa misura, è interessato dagli sconfinamenti dei cinghiali. Le notizie che li riguardano appaiono sulle prime pagine dei giornali oppure restano confinate nelle pagine interne, a seconda della sensibilità di chi tratta la notizia. Insomma il cinghiale non è sempre meritevole della medesima attenzione. Soltanto in occasione di sinistri stradali, talvolta anche mortali, causati dall’attraversamento di detti mammiferi, la pubblica opinione sembra mobilitarsi per invocare provvedimenti che possano infrenare una situazione che sembra appalesarsi di incontenibile emergenza. C’è chi invoca misure per ridurne il numero complessivo sul territorio e c’è chi, invece, si limita a richiedere il loro confinamento in zone boschive da cui poi non possano fuoriuscire per creare pericolo nelle vicine cittadine. Dappertutto, e, quindi, anche a livello nazionale, si invoca l’intervento di qualche autorità che disciplini, almeno in linea di massima, la correlata situazione emergenziale; un po’ ovunque le misure adottate o da adottare, appaiono insufficienti o abbastanza confusionarie e spesso incapaci ad incidere sulla proliferazione dei cinghiali e sui loro frequenti sconfinamenti. C’è però, qualcuno, o meglio qualche categoria professionale, a cui i frequenti sconfinamenti nei terreni coltivati o nelle aree suburbane, già da adesso procurano concreti pregiudizi, anche con frequenza quotidiana. Si tratta di quanti sono dediti all’agricoltura. Per quanto attiene il comune di Capua, l’area infestata dai cinghiali è quella gravitante nei pressi del Tifata, compreso le zone che lo contornano. Se domandate ad un contadino se ha mai visto dei cinghiali nel suo fondo non potrà che rispondervi affermativamente. E se non ha avuto la ventura di incrociarli, non potrà non dirvi di averne scorto delle inconfondibili tracce. E se gli chiedete quali sono quelle tracce vi risponderà che i cinghiali, in genere, nelle ore notturne e serali, sono soliti scompaginare o meglio rompere il terreno alla ricerca di tuberi, ghiande, funghi, nocciole, bacche, radici, castagne e nel periodo primaverile/estivo germogli, foglie , gemme. Essendo onnivori non disdegnano topi, insetti, serpenti, uova di uccelli. Il terreno smosso in profondità è indicativo della presenza di tali mammiferi che sono soliti rotolarsi nel terreno appena smosso o bagnato per abbassare la temperatura corporea e liberarsi dai parassiti. Negli ultimi anni i cinghiali, ormai numerosissimi, sono soliti scendere sempre più a valle. E’ quanto sta accadendo nelle campagne di S. Angelo in Formis. Questi mammiferi, in genere, non sono pericolosi, salvo quando si sentono in pericolo, ovvero quando si trovano in un contesto ambientale senza via d’uscita oppure quando temono per i loro cuccioli; ecco perché i cacciatori più esperti consigliano di non avvicinarsi ai cinghiali giovanissimi, perché sono solitamente seguiti dagli esemplari adulti che li mandano in avanscoperta per abituarli alla caccia e per renderli, quindi, autosufficienti. Cosa significa per i nostri agricoltori questa massiccia presenza di cinghiali? Oltre il pericolo che può derivare alla circolazione stradale, a cui sono esposti tutti gli utenti della strada, per i possibili attraversamenti in velocità della sede stradale, cospicui sono pure i danni derivanti ai coltivatori che si vedono i terreni smossi sia prima che dopo le semine, con pregiudizio delle coltivazioni, in particolar modo, nella fase iniziale del germogliamento delle sementi e, quindi, con loro irrimediabile danno. I nostri agricoltori lamentano pure le incursioni nei campi coltivati a grano e a mais. Nei prossimi mesi, allorché i grappoli d’uva volgeranno a maturazione, i cinghiali cominceranno a ghermirli, per nutrirsene, essendo in particolar modo ghiotti dell’uva, tirando verso il basso i tralci sviluppatisi in altezza. Danni, quindi, pure ai vigneti ed al conseguente raccolto. Ognuno cerca di mettere in sicurezza i propri fondi agricoli, alzando recinzioni sempre più robuste, ma con esito negativo, perché i cinghiali adulti, di peso superiore al quintale sono capaci di abbattere staccionate e crearsi dei varchi anche nelle palizzate più solide. Ma i danni non si limitano soltanto a quelli testé ricordati, poiché è stato rilevato che la foga impetuosa di tali mammiferi è tale da rendere instabili anche le numerose scarpate connotanti la zona collinare di S. Angelo in Formis. Questi animali si lasciano scivolare dalle scarpate superiori a quelle inferiori, smuovendo il terreno ed eradicando gli arbusti che si trovano lungo il passaggio prescelto. Circola anche la voce che qualche coltivatore più determinato degli altri nel contrasto della segnalata fenomenologia, abbia pure proceduto all’elettrificazione a basso voltaggio del perimetro dei propri fondi agricoli, per dissuadere le incursioni dei cinghiali, ma spesso senza successo, stante l’irruenza e la massa corporea di tali mammiferi. Gli agricoltori, in assenza di concrete iniziative risolutive, spesso neanche preannunziate, si sentono soli ed abbandonati a se stessi e cercano, dunque, autonomamente di trovare delle soluzioni empiriche e pragmatiche ai loro problemi quotidiani. Ciò che succede nelle zone boschive di S. Angelo in Formis si replica in tutto l’alto casertano e, come prima accennato, in tutte le zone con analoghe caratteristiche, con incursioni di interi branchi finanche nelle aree urbane. L’estensione del fenomeno postula, ormai, degli interventi di rilevanza nazionale, poiché quelli di portata territoriale inferiore, come quelli di tipo regionale o provinciale, non servono a contenere o infrenare la fenomenologia, ma soltanto a spostarla altrove. Nella nostra provincia già è stato registrato qualche incidente mortale provocato dallo sconfinamento dei cinghiali nelle aree più urbanizzate; in attesa di misure legislative e regolamentari modulate sull’emergenza in atto, speriamo che non abbiano a verificarsi altre disgrazie causate dalla medesima dinamica.