CULTURA

LA MIRABILE STORIA DELLA CHIESA E DELL’OSPEDALE DI SAN LAZZARO DI CAPUA: LA CHIESA C’E’ ANCORA MA TUTTO IL RESTO E’ STATO RIMOSSO, COMPRESA LA MAGNIFICA FIERA CHE VI SI TENEVA ANNUALMENTE DELLA QUALE E’ RIMASTA SOLTANTO UNA VAGA MEMORIA

SECONDA PARTE (Prima parte pubblicata il primo dicembre 2024)

STRUTTURA DELLA CHIESA DI SAN LAZZARO Lo Jannotta puntualizzò che la chiesa era “mediocre” ad una sola navata (come adesso), con la volta formata da tavola dipinte, e che era munita di tre modesti
altari, arricchiti di solo stucco. L’altare maggiore, come attualmente, era posto di fronte all’ingresso principale, mentre gli altri due erano posti sulle pareti laterali.
Sull’altare maggiore era stato collocato un quadro antichissimo rappresentante il Redentore, richiamante la figura del Lazzaro risuscitato dal sepolcro. In una nicchia, sul lato destro dell’altare, prospettava una statua di legno rappresentante S. Lazzaro mendico, ricoperto di piaghe.

Sul lato sinistro del medesimo altare maggiore vi era una statua, anch’essa in legno, riproducente Santa Maria Maddalena penitente. Su di uno degli altari laterali era stato collocato un quadro riportante l’immagine della Vergine addolorata; sul retro dell’altro altare pendeva un Crocefisso di legno molto
grande. L’autore del testo precisava anche che il pavimento era lastricato di materia
solida, ma ruvida; sotto di esso appariva incavata un luogo di sepoltura a due
bocche, con due bocche non eccessivamente grandi, contraddistinta una da una lapide
lisca e l’altra riportante una breve epigrafe “Via Universae Carnis” (Il destino di ogni
vivente). Sui due confessionali erano riportate delle iscrizioni erudite approntate dal
Monsignore D. Francesco Granata, Arcidiacono della cattedrale di Capua. Il cardinale
D. Marcantonio Colonna, avendo ravvisato che la chiesa era troppo dimessa, decise
di arricchirla di preziosi e ricchi arredi sacri, tra cui quattro lampane (lampade) di
argento. Secondo le indicazioni dello Jannotta, all’epoca in cui scrisse il libro, dalla
chiesa, attraverso una porta laterale, si usciva su di un terreno, circondato da un
muro, che divideva l’ospedale dalla chiesa. Di fianco al suddetto terreno, dalla parte
orientale, era sussistente un giardino di circa “sei passi “ (misura di superficie dei
terreni casertani: circa 600 metri quadrati), diviso in vialetti che si incrociavano tra di essi, all’ombra di una folta vite che, in primavera ed in estate, procurava molta ombra, gradita agli ammalati. Alberi di frutta e innumerevoli spezie rendevano il luogo particolarmente ricco di prodotti della terra, di aromi e di profumi. Tra i due terreni era ubicato l’Ospedale, detto anche “la Casa”, munito di semplice, piccola
porta. Superata la porta, si accedeva ad un cortile, da cui, sul lato destro, si
intravedeva una grande porta adducente alla pubblica strada, ovvero alla via Appia;
sul lato sinistro si apriva la scalinata (eretta poi in marmo nel 1752, su disposizione
del Monsignore D. Filippo Coscia) dalla quale si saliva all’interno dell’ospedale vero
e proprio. Sulla parete della prima tesa della scalinata si poteva ammirare un
dipinto riproducente l’immagine di San Lazzaro Mendico. Secondo lo Jannotta fu
scelta l’immagine di quel santo “per eccitar la tenera divozione del Popolo, che
particolarmente in tempo della festa del nostro Santo, suole ginocchione salir la
Scala suddetta, con recitar benanche divote Orazioni”. Erano disposte sei camere al
piano terra e sei al primo piano, davanti alle quali si apriva una loggia coperta. Oltre
le camerate per gli infermi, l’ospedale disponeva di altri locali per dare ospitalità ai
forestieri di passaggio per il luogo sacro e per soccorrere eventuali pellegrini colti da
malore. L’Ospedale disponeva anch’esso di un cortile, delimitato da un muro, con al
centro un pozzo da cui si ricavava una buona acqua, nei cui pressi ombreggiavano un
gelso, che a Capua hanno sempre prosperato con folte ed ubertose chiome, e degli
olivi. Lo Jannotta sosteneva, sulla scorta di un manoscritto conservato dal cavaliere
D. Alessandro d’Azzia, Patrizio capuano, che, fin dal 1327, fosse stato nominato Gran
Maestro di S. Lazzaro Frate Alfonso d’Azzia e, successivamente, nel 1347, Fra
Giacomo d’Azzia, argomentando che l’Ospedale di San Lazzaro avesse avuto, fin da
quegli anni, il primato su tutti gli altri dello stesso ordine, divenendo gli
amministratori dello stesso Gran Maestri.

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