CULTURA

Uniti nella poesia: intervista a Lorenzo Maragoni, campione italiano di Slam Poetry!


Caserta – Questo articolo parte da lontano, nel tempo e nello spazio. Ci troviamo a Torino, 17-18 Settembre 2021. Alla GAM – Galleria Civica di Arte Moderna – va in scena nell’ambito di “Metronimìe – Festival di Poesia Performativa” la finale nazionale di Slam Poetry organizzata dalla LIPS (Lega Italiana Poetry Slam). A sfidarsi 21 autori, provenienti da tutte le regioni d’Italia, giudicati da cinque persone scelte in maniera casuale dal pubblico. Gli spettatori sono infatti componente centrale nel Poetry Slam, così come tale disciplina è stato concepita fin dalle sue origini dal suo ideatore, lo statunitense Marc Kelly Smith. Slam Papi, il nome con cui Smith è conosciuto nell’ambiente, nacque a Chicago nel ’49. Si fece conoscere sin dai suoi esordi per la sua particolare abitudine nel declamare le sue opere in contesti atipici, come locali di cabaret o jazz club. È da questa continua commistione di arti diverse tra loro che prese vita, in maniera del tutto casuale, il 20 luglio dell’86 quello che con il senno di poi è considerato il primo Slam della storia. Una volta terminata la sua scaletta, chiese al pubblico di interagire con i suoi ultimi pezzi, giudicando ciascuno di essi con applausi o fischi. Da lì in poi fu un crescendo, l’idea fu incredibilmente apprezzata e sempre più riproposta in contesti diversi. La serata di Torino, citata in apertura, è solo l’ultimo tassello di una storia globale, fatta di intrecci e contaminazioni culturali. E tutto questo non deve meravigliare, anzi, rappresenta alla perfezione quello che caratterizza la Slam Poetry: un mix esplosivo, una rappresentazione ibrida in cui i diversi linguaggi poetici interagiscono con influenze dal mondo della drammaturgia, dell’hip hop e della stand-up comedy. Il tutto all’interno di un contesto competitivo, dove il pubblico stesso è chiamato a giudicare le performance che più colpiscono l’animo degli spettatori. 

Ad uscire vincitore la sera del 18 Settembre è stato Lorenzo Maragoni, che ha così conquistato il titolo di Campione Italiano di Poetry Slam battendo in finale due mostri sacri dell’arte performativa come Matteo Di Genova e Eugenia Giancaspro, in arte Anti Gone. Nativo di Terni, ma cresciuto a Padova, Lorenzo ha vinto rappresentando una terza regione ancora: l’Emilia Romagna. Dottorato in Statistica all’Università di Padova, Lorenzo è titolare di cattedra presso la facoltà di Biotecnologie dello stesso ateneo. Accanto a questo, tanta, tantissima arte. Maragoni è infatti attore e regista teatrale, collaborando stabilmente con il Teatro Stabile del Veneto e con la compagnia Amor Vacui. Il suo 2021 è stato da incorniciare: menzione speciale al “Concorso Nazionale Sinestetica” per video poesie e vittoria del prestigioso premio “Bologna in Lettere”, nella categoria dedicata alla poesia orale e performativa. Ciliegina sulla torta, la vittoria del Campionato italiano LIPS, proprio a Torino. 
Nel corso dell’ultima puntata del programma radiofonico “Nottetempo”, avanguardia della divulgazione culturale nelle province di Caserta e Napoli in onda ogni Martedì dalle 22 alle 24 sulle frequenze di Radio Primarete, Lorenzo ha rilasciato un’intervista che abbiamo raccolto qui di seguito. Queste le sue parole:

Buonasera Lorenzo! Iniziamo subito dalla vittoria del titolo italiano di Slam Poetry: che emozione hai vissuto nelle due serate di Torino e che sensazioni ti sono rimaste di un’esperienza in cui sei riuscito a battere il meglio della scena Slam italiana, mostri sacri tra cui Giuliano Logos, campione del mondo uscente, Matteo De Gennaro e Anti Gone?

Buonasera a tutti! Beh, che dire … Sono state per me due serate pazzesche! Il livello dei performer in gara, come dicevate, era altissimo e già dai primissimi pezzi si capiva che si sarebbe dovuto sudare parecchio per arrivare fino in fondo. L’atmosfera poi era magnifica, il pubblico totalmente coinvolto ha dato vita ad un vero e proprio tifo da stadio. Bisognava tirare fuori il meglio di sé, altrimenti non ci sarebbero state possibilità di vincere. Mi sono rimboccato le maniche … e sapete com’è andata a finire [ride, ndr]: gli spettatori hanno apprezzato le mie perfomance e sono riuscito a portare a casa il titolo!

Sappiamo che il rapporto con il pubblico è una componente fondamentale negli Slam, con la giuria che è estratta a sorte tra i presenti in sala. A vincere, dunque, è colui che più di tutti riesce a toccare le corde giuste della platea. In quest’ottica, in che modo vivi il tuo rapporto con il pubblico? Ti fai influenzare dall’andamento della serata o cerchi di rimanere attaccato ad una struttura predefinita?

Io sono totalmente influenzabile dal pubblico. Anzi, vi dirò di più: credo che in fondo il motivo per cui performo sia da ricercare proprio in questo rapporto con chi mi sta di fronte. Io sono un amante del teatro, della poesia e delle arti performative in generale proprio perché è in questo tipo di discipline che meglio si riesce a capire cosa piace davvero all’audience, cosa le persone che sono lì per te vogliono davvero ascoltare e di conseguenza cosa posso fare io per migliore la mia capacità di colpire fino in fondo lo spettatore. Si gioca tutto sul rapporto “azione-reazione”, “domanda-risposta”. Una delle cose che preferisco degli Slam, infatti, è che ogni volta torni a casa con feedback diversi sulle tue esibizioni. Capisci cosa funziona, cosa piace, e cosa non, cosa ha smesso di funzionare o cosa improvvisamente, in un contesto nuovo, inizia a piacere molto di più rispetto a prima. Questo rapporto, questo continuo dare-e-avere è il vero motivo per cui salgo su quel palco.

Lorenzo tu sei anzitutto uomo di teatro, impegnato in prima persona sia con il Teatro Stabile del Veneto che con la compagnia Amor Vacui. Quanto, allora, il tuo background teatrale ti ha aiutato nell’approccio alla Slam Poetry e quanto esso influenza il tuo stile performativo?

Tantissimo. L’essere cresciuto negli ambienti teatrali è stato fondamentale per me, soprattutto nella ricerca del modo migliore di stare davanti al pubblico durante uno Slam. Mi considero un grande fan dell’intuizione e dell’improvvisazione e adoro quei performer geniali, che magari non hanno esattamente coscienza di cosa stiano facendo, ma qualsiasi cosa sia gli viene dannatamente bene. Nonostante ciò, credo che ci sia la necessità di avere comunque un certo controllo su quello che si sta facendo, come se davanti si avesse un percorso sul quale muoversi liberamente, ma che sai almeno dove ti porterà. Questo ti consente di avere maggiore consapevolezza di quegli elementi che sono fondamentali nella Poetry Slam: strumenti vocali, di corpo, relazione con il pubblico, musicalità delle parole. Avere il controllo su tutto questo – cosa che il teatro ti insegna necessariamente – ti permette di mantenere il polso della situazione e capire immediatamente se l’esibizione funziona, e quindi insistere su quella linea, oppure cambiare registro. Attenti, però,a non far diventare la performance un semplice esercizio tecnico: l’obiettivo resta sempre divertire e divertirsi. Questo tipo di controllo è tuttavia un supporto necessario per il raggiungimento del divertimento tuo e di chi assiste al tuo spettacolo.

Nelle tue poesie, soprattutto le più recenti, ci sono molti riferimenti a questi anni di pandemia e alle relative chiusure che abbiamo sperimentato sulla nostra pelle. Ti va di condividere con noi come hai vissuto questo periodo e come ne sei uscito fuori, anche da un punto di vista artistico?

Io sono stato molto fortunato in questo periodo. La vita con me è stata gentile: né io, né le persone a me più care, sono state colpite dalla malattia, o peggio. Ovviamente, come tutti, ho avuto problemi lavorativi, ancor di più legati alle mie attività artistiche. Due cose che però hanno sempre caratterizzato la mia attitudine ad affrontare le sfide della vita sono un certo spirito di iniziativa e un inguaribile ottimismo, che in questo caso mi hanno portato ad interrogarmi su quali fossero i mezzi che mi avrebbero permesso, nonostante le difficoltà, di trovare comunque un modo per esprimere quel pandemonio che sentivo dentro. È stato certamente un periodo di grande sperimentazione, artistica e comunicativa. Con l’aiuto di amici e colleghi abbiamo dato vita ad iniziative teatrali, prima, e poi anche di Slam Poetry, in modalità da remoto, ognuno da casa sua, attraverso la piattaforma Zoom e con l’ausilio del Teatro Stabile del Veneto, che ha unito artisti e spettatori da tutte le parti d’Italia e poi anche oltre confine. Esperienze intense, molto belle, che ci hanno restituito un senso di vicinanza altrimenti difficile da percepire. Con il secondo lockdown, quello meno duro, abbiamo poi scoperto un ulteriore canale innovativo, quello delle video-poesie. Quest’altro progetto è stato possibile grazie alla collaborazione con Giorgio Gobbo, musicista padovano autore della melodia di tutte le mie opere di Spoken Music, e con Francesca Paluan, video maker e fotografa strepitosa. Se la domanda, allora, resta “in che modo se ne esce?”, la risposta è chiara: con qualche strumento comunicativo diverso e innovativo, sicuramente con un (bel) po’ di fatica e soprattutto con tanta, tantissima voglia di stare sul palco! Dovete credermi, ragazzi, mi sento ancora in debito. Ogni volta che in questi giorni salgo su un palco sento di avere un’energia devastante, accumulata in quei mesi di terribile immobilismo, che mi fa spettinare tutti gli spettatori presenti!

C’è un pezzo in particolare, tra i tuoi, che ci ha colpito più degli altri: “Una Storia”. (link:https://www.youtube.com/watch?v=-GROnXiYwNQ). Volevamo sapere se e quanto questa poesia emozioni anche te, quando la performi, data l’intensità del messaggio che lanci e quella sua capacità di toccare il tema della condivisione, che di questi tempi è così attuale.

La risposta è sì, mi emoziona sempre ogni volta che la eseguo, o anche solo la riascolto, quasi fosse in realtà opera di qualcun altro. Per me ha infatti un valore particolare. Questo pezzo è nato durante la seconda tornata di chiusure dove, a differenza di quanto avvenuto nella prima fase, si avvertiva fortemente la mancanza di una narrazione comune, che pure aveva dato colore e calore alla drammaticità del primo lockdown. Penso a tutta quella serie di cose, anche goffe, come i meme che spopolavano ovunque o il riunirsi sui balconi per cantare insieme. Ogni cosa si trasformava in un’esperienza condivisa, tutti sapevamo cosa stesse succedendo e cosa stesse passando l’altro, finanche di cosa si parlasse, dai discorsi di Conte alla farina per le pizze. Con le riaperture a Maggio e le chiusure che seguirono nell’autunno successivo, generalmente meno drastiche, è come se da questi grandissimi “cazzi nostri” si fosse ritornati ai piccoli “cazzi di ciascuno di noi”. Centrale è tornato ad essere quello che ognuno aveva da fare a livello personale, lavorativo, di salute. In questa individualità generalizzata sentivo che mi mancava qualcosa, ma per molto tempo non sono riuscito a darne una definizione. Scavando a fondo, poi, ricercando l’origine di questo malessere, ho capito che l’avrei ritrovata in un concetto che è sempre stato fondamentale nel mio modo di intendere la vita. Sentivo insomma la mancanza di sentirmi parte di una storia più grande, di una storia comune, in cui ognuno ha la propria strada tracciata, ma che quella strada è condivisa con gli altri. In un momento così drammatico sentivo la necessità che qualcuno mi ripetesse questo principio per me così importante e visto che non ho trovato nessuno che lo esprimesse … beh, me lo sono scritto da solo [ride, ndr]! Così è nata “Una Storia”!

Un passaggio, in questo senso, è particolarmente pregnante: “perché io credo alla teoria di Darwin, che sopravvive soltanto chi si adatta. Ma preferisco le teorie alternative, dove a sopravvivere c’è posto per tutti”. È l’idea che tutti abbiamo il nostro posto, che tutti siamo un mattoncino nel muro della quotidianità e che per questo ognuno di noi ha la sua piccola parte da fare, all’interno di un qualcosa di più grande.

Esattamente. A ben pensarci, l’appendice a questo principio è l’accettazione di non doversi caricare il peso del mondo solo sulle proprie spalle. Questa cosa la dice splendidamente Zero Calcare, nella serie appena uscita su Netlfix “Strappare lungo i bordi”: accettare quella dimensione in cui, pur non lasciando andare il mondo così com’è, non si viene soffocati dall’ansia di voler risolvere tutto il male del pianeta. Significa il voler fare la propria parte, ma essere consapevole di essere un singolo filo in mezzo ad un mare d’erba. Per questo e per altre considerazioni, stimoli e riflessioni che ho vissuto tramite i suoi libri per me Zero è un punto di riferimento assoluto, capace sì di farti fare una risata, ma portarti tramite quella stessa ironia ad una profondità che non credevi di poter sperimentare. Un equilibrio perfetto.

Un equilibrio che secondo noi hai saputo riportare nelle tue opere, facendone diventare un tratto caratteristico. Una delle cose che abbiamo maggiormente apprezzato delle tue poesie è di fatti proprio la  capacità di far convivere una certa delicatezza che contraddistingue la scelta delle parole che usi, con un’ironia e con una determinazione nel raccontare i temi di cui senti la necessità di parlar. Sei in un punto mediano, in cui sembra tu riesca a danzare con gli argomenti che tratti, volteggiando tra irriverenza, ironia e forza evocatrice. In questo modo il tuo messaggio riesce ad assumere contorni universali, che possono raccontare non solo la tua storia, ma anche quella di coloro che ti ascoltano.

Grazie, grazie davvero per le belle parole. Nel comporre le mie opere io parto sempre da un punto di vista molto interiore, spero mai del tutto autoreferenziale [ride, ndr]. Tutti i temi che tratto nascono dalle mie esperienze, dai ragionamenti che faccio e dai sentimenti che provo. Per me è estremamente complicato capire come una persona possa reagire in una situazione che non conosco e nel provare a descriverla ho paura di personalizzarla, proiettando in quel contesto sensazioni mie personali. Quello che dite lo apprezzo tanto, perché significa allora riuscire a trovare il modo di trasformare quel punto di vista che è mio in qualcosa di condiviso che, come emerso nel discorso che facevamo prima, è il fine ultimo della poesia, o quantomeno della mia. 

Grazie per la splendida chiacchierata, è stato un enorme piacere e soprattutto ci ha arricchito tanto. Un abbraccio e presto, Lorenzo!

Grazie a voi, è stato davvero divertente! Vi mando un forte abbraccio, a prestissimo!

[…] Questa è la storia di cui avrei bisogno
Una storia di storie incrociate
Che mi dica che da qualche parte ci sono anch’io
E che ha un senso tutto questo sopportare

Non è necessario che io sia un personaggio ricorrente
E nemmeno che sia uno importante
Ma anche soltanto l’ennesimo uomo
L’ennesima donna che passa per strada
E fa la sua parte

Non serve me la leggano tutte le sere
Ma anche soltanto stasera
Che è così forte la nostalgia
Forse non serve nemmeno che sia una storia
Forse basta anche solo una poesia.”
(tratto da “Una Storia” di Lorenzo Maragoni)

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