EVASIONE CULTURALE A CHILOMETRO ZERO E AD EURO UNO – Viviamo nella storia, nell’arte e nella bellezza: tutto è a portata di mano. Bisogna soltanto riscoprirlo perché tutto è già intorno a noi e fruibile a costo pressoché zero; il costo di un caffè.
Nella villa comunale di Santa Maria Capua Vetere svetta, nella sua imponenza, il monumento ai garibaldini caduti nella battaglia del Volturno del 1860. La decisione di erigere un mausoleo per ricordare i volontari garibaldini maturò all’indomani dell’ultima vittoria conseguita da Garibaldi; con la presa di Capua, nell’ottobre del 1860, terminava, infatti, l’avventura dei “Mille”.
La proposta, pur raccogliendo molti consensi, non fu, però, nelle immediatezze, tradotta in fatti concreti, poiché sorsero dei motivi di profondo contrasto tra i fautori del monumento ed i filoborbonici ancora presenti nel tessuto sociale della cittadina.
L’idea non fu abbandonata del tutto, tant’è che nel 1889 i comuni di Santa Maria C.V. e di Capua concordarono di individuare un luogo comune ove erigere il monumento; anche questa volta l’iniziativa si arenò per motivi di dissidio tra le due municipalità e per l’avversione appalesata, ancora una volta, dagli elementi filoborbonici. Da lì a poco, però, nel medesimo anno 1889, si arrivò finalmente alla soluzione del problema, almeno a livello di progettazione. Il comune di Santa Maria C. V. stava, infatti, allestendo la villa comunale, per cui apparve logico e naturale riservare un’area al monumento che, ormai, da alcuni decenni si tentava di costruire.
Il monumento funebre, d’impostazione neoclassica, iniziato nel 1902 e terminato nel 1905, celebra appieno il concetto della sacralità del tributo di sangue offerto dai garibaldini nella battaglia del Volturno: la Vittoria alata, collocata sulla sommità di una grandiosa ed alta colonna, si staglia da allora contro il cielo, sebbene distrutta da un fulmine nel 1914 e subito dopo sostituita con un’altra statua, di simile conformazione.
Il monumento, nella sua primitiva collocazione, non doveva presentare, lungo il suo perimetro, alcuna delimitazione finalizzata ad impedire l’accesso all’area interna del mausoleo. Lo si deduce da una foto tratta da un libro di Salvatore di Giacomo, dal titolo “Da Capua a Caserta”, dell’anno 1927, che si riproduce, a corredo di questo scritto, per evidenziarne l’aspetto che presentava in quegli anni.
In epoca successiva, verosimilmente per preservarne l’integrità da possibili azioni di vandalismo o di teppismo, l’area del monumento ai garibaldini venne delimitata da un manufatto -se non erro una robusta inferriata- idoneo a difficoltizzare l’accesso ad eventuali malintenzionati.
Qualche decina di anni fa le opere sussistenti a salvaguardia del sito sono state rimosse, sostituite con dei paletti collegati tra di loro da una catena – alcuni dei quali oggi anche divelti- probabilmente con la sola funzione simbolica di delimitarne l’area, forse in linea con la filosofia attuale che vuole rimuovere qualsivoglia barriera. Il principio è giusto, ma, talvolta, bisogna valutarne a priori le possibili conseguenze negative, in quanto l’iniziativa liberatoria potrebbe essere controproducente anche verso ciò che si intende proteggere e valorizzare. Spiego meglio ciò che è accaduto.
Mancando qualsivoglia opera di idonea delimitazione o di reale contenimento, per qualche tempo non è accaduto alcunché di pregiudizievole; sembrava che la barriera, ovvero l’inferriata, benché rimossa, continuasse ad assolvere alla sua primitiva funzione di dissuasione. Col decorrere dei giorni, però, lo spazio interno all’area del sacrario, prima timidamente e poi in maniera sempre più spregiudicata, è divenuto il territorio di elezione dell’evasione e dell’intrattenimento dei giovani che affollano attualmente, soprattutto nelle ore pomeridiane e serali, la Villa comunale sammaritana.
La decorsa domenica -7 novembre 2021-, all’imbrunire, quanti hanno fatto un passeggiata nella villa comunale di Santa Maria C.V. avranno notato alcune decine di ragazzi che affollavano l’area un tempo interdetta: diciamo che, anziché trattenersi per i viali o nella zona limitrofa al monumento, preferivano sostare o, finanche accomodarsi, all’interno del sacrario stesso.
Naturalmente i giovani frequentatori del sito non si trovavano colà in religioso silenzio, così come la sacralità del luogo avrebbe imposto; avveniva tutt’altro. Mentre alcuni si rincorrevano, altri smanettavano sui loro smartphone ed altri ancora conversavano o urlavano, burlandosi rumorosamente. Un vociare assordante faceva da colonna sonora a quell’allegra brigata giovanile.
La visione di tutti quei ragazzi che, con noncuranza ed indifferenza, affollavano immotivatamente quell’area sacra, mi ha fatto pensare che essi non fossero affatto consapevoli o coscienti dell’inopportunità e dell’inappropriatezza dei loro comportamenti, in relazione al luogo in cui si intrattenevano.
Un sommario sopralluogo lungo il perimetro del monumento ai garibaldini, senza mai accedervi, consentiva di rilevare le conseguenze dell’inesistenza di una barriera -o meglio di un manufatto, attesa la valenza negativa di cui si è caricato il termine barriera- che impedisca effettivamente il facile accesso a quel luogo deputato all’imperitura celebrazione della memoria dei caduti della battaglia del Volturno.
Sui marmi del sacrario sono state rilevate innumerevoli dichiarazioni di eterno amore, frasi di cattivo gusto, amenità non sempre divertenti, imbrattamenti vari, alcuni finanche apposti (tre X) su di una lapide commemorativa: forse le immagini riprodotte nelle foto a corredo, sono più eloquenti di mille parole.
Sulla scorta delle considerazioni svolte si può trarre la conclusione che la soluzione al problema dello scempio documentato potrebbe consistere semplicemente nel ripristino dello status quo ante, perché la prova di democrazia liberatoria offerta ai giovani non è stata superata, nonostante il conseguito processo di generalizzato acculturamento, a cui forse non corrisponde un’adeguata coscienza civica.