11 Agosto 2024 — XIX Domenica del Tempo Ordinario (B)
Gesù, pane del cielo per l’uomo della terra! (Gv 6,41)
Un giorno Dio ordinò a Ezechiele: “Figlio dell’uomo, mangia questo rotolo, poi va’ e parla alla casa d’Israele!” (Ez 3,1). La stessa immagine fu usata da Geremia: “Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità: la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore!” (Ger 15,16). Come i profeti, anche i cristiani hanno fame della Parola di Dio. La trovano in un libro, certo, ma soprattutto in una persona: Gesù, il pane della vita.
Prima lettura L’archeologia conferma che il regno di Achàv (874-853 a.C.) fu uno dei più prosperi d’Israele. Eppure, nella Bibbia troviamo su di lui un giudizio molto severo: “Nessuno si è mai veduto a fare il male agli occhi del Signore come Achàv, istigato dalla propria moglie Izevèl” (1Re 22,25). Izevèl era la giovane figlia del re di Tiro, tanto affascinante quanto perfida; aveva convinto il marito a costruire un tempio alle divinità pagane Baal e Astarte. Ebbero così inizio in Israele la corruzione, i crimini, i sacrifici umani (1Re 16,34). Ed ecco apparire sulla scena un uomo coraggioso, che sfida Izevèl: è il profeta Elia. Le sue parole sono sferzanti come fuoco (Sir 48,1), ordina alla pioggia di non bagnare la terra per 3 anni (1Re 17,1), sfida i profeti di Baal sul monte Carmelo (1Re 18,1)…ma alla fine deve arrendersi alla regina, che lo vuole morto (1Re 19,1). Fugge verso il sud, verso il monte di Dio, Chòrev, dove Mosè 400 anni prima aveva incontrato il Signore. Parte ma il viaggio è difficile e sfiduciato si arrende. A questo punto inizia la nostra lettura. Solo una riflessione: Dio non sottrae alla prova il suo profeta, ma gli offre l’alimento necessario (pane e acqua) e questo basta!
La vicenda di Elia è anche la nostra! “Basta, Signore, prenditi la mia vita!” Fanno impressione queste parole disperate sulla bocca del profeta Elia. Dopo avere confuso i sacerdoti di Baal sul monte Carmelo, ora crolla; sembrava un gigante e invece le minacce di una donna lo spaventano fino alla morte. Getta la spugna. Basta con tutti, anche con Dio! Lui che aveva risuscitano una ragazza, ora desidera solo morire. Anche se porta il nome impegnativo di Elia, che significa “Il mio Dio è Iahweh”, ora si sente un uomo fragile come tutti; era stato mandato da Dio a convertire gli altri, e ora si accorge di essere un peccatore come tutti: “Io non sono migliore dei miei padri!”. La crisi di Elia è anche la nostra crisi. Anche noi abbiamo conosciuto l’euforia del successo, del traguardo, dell’applauso; ma dopo ci cadono addosso lo smarrimento, la sfiducia, la stanchezza. C’è sempre un dopo! Dopo “osanna”, ci gridano “crucifige”. E se anche non ci cade addosso la grande crisi, possiamo soffrire la crisi della monotonia, della noia. Ieri ci sentivamo trasfigurati nella gioia del Tabor, il giorno dopo ci sentiamo sfigurati dal dubbio. Come uscirne? Ad Elia furono sufficienti una focaccia e un orcio d’acqua. E a noi?
“Nessuno ha visto il Padre” Dobbiamo ricordare queste parole a chi presume di parlare di Dio. Noi non conosciamo Dio; egli non è oggetto “adeguato” della nostra mente. La religione – si dice – ci mette in comunicazione con Dio. Ma – non dimentichiamolo mai – Dio è un essere trascendente, ossia noi non possiamo sapere nulla di lui, proprio perché si colloca al di là della nostra limitata ragione. La mente umana può pensare solo mediante un processo di oggettivazione. Ne consegue che Dio, quando entra nell’ambito della nostra esperienza, diventa oggetto, cosa, statua, libro … Anche se a tali oggetti diamo titoli solenni e divini, come Infinito, Onnipotente, Assoluto, Eterno, Immortale … in realtà, questi titoli esprimono non Dio in sé, ma nostre rappresentazioni del Trascendente. È quello che P. Ricoeur ha definito il processo di conversione diabolica (Della interpretazione): il Trascendente, quando è pensato dalla nostra mente, diventa cosa, viene trasformato in qualcosa di umano, troppo umano. Noi somigliamo tanto a quei pesci “chiusi” in un piccolo acquario e ci crediamo padroni e conoscitori dell’universo! Il velo misterioso che ci separa dal Dio “velatus” è squarciato solo in un punto: nella vita e nella Parola di Gesù, il rivelatore del Dio misterioso! È la verità che ci viene proposta nella prima lettura: Elia profeta vive un momento di estremo scoraggiamento: “Ora basta, Signore! Prenditi la mia vita!”. Ha tanta voglia di morire! Quello dello scoraggiamento è un sentimento nobile, che noi non dobbiamo condannare. C’è uno scoraggiamento egoistico e uno scoraggiamento morale. Il nostro compito non è diffondere allegrie superficiali, sicurezze mondane, messaggi esaltanti, ma entrare nel tunnel della disperazione e cercare insieme le ragioni della speranza.
Se noi pensiamo alla fragilità della vita, ai tanti rischi cui siamo soggetti, allora ogni sicurezza scompare. Uno ha tanta dignità quanta è la sua apertura verso i problemi di tutti; allora dobbiamo dire che c’è una proporzione diretta tra infelicità e conoscenza: più uno conosce e più uno è infelice. Se il pessimista è uno stupido infelice, l’ottimista è uno stupido felice. A volte vengono a mancare le motivazioni per vivere, per lottare, per credere. C’è chi si rifugia nell’orto delle proprie cose, alza un muro nei confronti del mondo; c’è chi invece cade nello scoraggiamento. Quando incontriamo persone scoraggiate non dobbiamo pensare che mancano loro le ragioni; lo scoraggiato ha molte ragioni dalla parte sua; chi è credente, comprende, non giudica nessuno; quando un uomo comprende che “passa questo mondo”, che i miti consolatori non bastano, allora può arrivare a gridare come Elia: “Ora basta, Signore! Prenditi la mia vita!”.
BUONE VACANZE E BUONA VITA!