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CULTURA – EVASIONE CULTURALE A CHILOMETRO ZERO E AD EURO UNO: IL COSTO DI UN CAFFE’. CAPUA E BELLONA ED IL CONVENTO DELLA MADONNA DI GERUSALEMME: MILLE ANNI DI STORIA E DI TRADIZIONI RELIGIOSE BUTTATI ALLE ORTICHE. TUTTO NACQUE DALLA INIZIATIVA DI UN CROCIATO CAPUANO (?) E DAL SUO VOTO ALLA MADONNA DI GERUSALEMME: UNA CAPPELLA, DIVENUTA POI UN MONASTERO, CE LO RICORDA TUTTORA, SEBBENE UN FITTO ROVETO OGGI L’OPPRIMA E LA MEMORIA COLLETTIVA L’ABBIA QUASI DIMENTICATA DEL TUTTO. EPPURE QUEL LUOGO E’ STATO TESTIMONE DI UNA MESSE PRODIGIOSA DI GUARIGIONI MIRACOLOSE. SECONDA PARTE

CAPUA – Il Marra evidenziava che “Importa sapere che la Sancta Jerusalem rimase per poco tempo in
potere dei Capuani Principi. Nel 1109 Roberto I, fratello e successore di Riccardo, ne trasferisce il
dominio ai fratelli Pandone e Giovanni Olivatro, il secondo de’ quali era Canonico capuano: ed
insieme alla chiesetta donava loro il terreno circostante per la estensione di cinquecentocinquanta
passi quadrati- Verso la metà del decimoterzo secolo n’era divenuto padrone l’Arcivescovo di
Capua
”.
Mentre il Granata si limitava ad illustrare la sola storia della fondazione della cappella di
Gerusalemme, il canonico Marra, anche perché vissuto successivamente, narrava le vicissitudini
intervenute nel prosieguo del tempo fino alla data della pubblicazione del suo libro.
A seguire si riportano le vicende salienti di quel luogo sacro, così come le ha riportato il
Marra.
Nell’anno 1419, un cittadino bellonese di nome Marra Priamo (forse un antenato di Raffaele
Marra
, l’autore del libro da cui sono tratte le notizie che si riportano), notato lo stato di degrado del
tempio, pensò di restaurare la cappella, avendo cura di farvi dipingere all’interno l’immagine della
madonna. Ne forniva anche una precisa descrizione, annotando che “il dipinto rappresenta
l’immagine della bella e veneranda Madre di Dio che sta seduta e col braccio dritto sostiene il
bambino, il quale sta in piedi su le ginocchia di Lei e stende una manina al collo della Madre, l’altra
a benedire il popolo cui volge gli occhi vezzosi e sorridenti. Con la sinistra la Vergine tiene
inalberata a guisa di vessillo una lunga croce d’oro a due ordini di braccia, presentando così un pio
stemma o geroglifico della passione di ambedue. Della Madre cioè e del Figliuolo
”. Quella appena
riportata è l’immagine antica, perché lo stesso Marra, in epoca successiva, riferiva testualmente che
la Madonna è dipinta “presentemente assisa sopra un macigno a significare il monte Rageto, nel
quale ebbe il primo culto”.
Negli anni successivi, però, tutto cadde in rovina., anche in seguito alle incursioni, nell’anno
1405, nei pressi di Capua, di soldatesche al seguito di Carlo VIII di Francia. Poi ci furono i
saccheggi operati dalle milizie del Duca Valentino, nel 1501, in occasione del sacco di Capua. Il Marra evidenziava che a seguito di quelle calamitose vicende era “facile immaginare che S.
Jerusalem, confinata su la cima di un monte, fosse stata del tutto abbandonata, e che perciò vi
fossero cresciute attorno piante silvestri e rovi e spine”.

Nell’anno 1534, una pastorella di nome Antonia Fusco ritrovava l’immagine dipinta della
Madonna collocata nella cappella che, nel frattempo, era caduta nel dimenticatoio, anche perché
occultata dai rovi e da una fitta vegetazione, nonché danneggiata dalle inclemenze meteorologiche.
Al riguardo, il Marra riportava quanto si raccontava a tal proposito, ovvero che la bambina in
questione, un po’ maleducata e ribelle, non aveva rivelato a chicchessia la sua scoperta e per quella
sua negligenza la Madonna l’avrebbe punita rendendola muta, salvo renderle il dono della parola
soltanto quando si era ravveduta, rivelando il luogo ove si trovava la sua sacra immagine.
Nell’anno 1548, furono registrati numerosissimi eventi prodigiosi che richiamavano sul
monte Rageto innumerevoli pellegrini. Sulla scorta delle guarigioni riscontrate, anche in ordine a
patologie particolarmente perniciose, nell’anno 1549, il clero ed il popolo capuano furono
dell’avviso di affidare la cappella ai Servi di Maria. Fu, pertanto, proposto al P. Generale dei Serviti
Fr. Agostino d’Arezzo di affidare ai frati di quell’ordine religioso la Chiesa di S. M. di
Gerusalemme, con l’intesa di far costruire un convento di fianco alla predetta Cappella. In
relazione a quanto convenuto furono formalizzati gli atti conseguenziali alla sua realizzazione, con
la cessione ai Padri Serviti della chiesa di S. M. di Gerusalemme con 25 moggia di terreno, ove
edificare il convento.
Nel 1585, la duchessa di Maddaloni Roberta Carrafa, molto devota ai Padri Serviti, anche per
gli innumerevoli fatti miracolosi che continuavano a verificarsi nel frattempo, decise di donare loro
230 moggia di fertile terreno, allo scopo di accelerare la costruzione dell’annesso convento.
Con la corposa donazione ricevuta, i lavori di edificazione del Monastero continuarono
alacremente; si costruì in adiacenza alla cappella che finì con essere inglobata in esso. I maggiori
lavori, che ebbero luogo intorno al 1588, furono, infine portati al termine nell’anno 1607.
Durante un violento temporale, nel 1747, un fulmine si abbatté sul complesso religioso
costruito sul Rageto, provocando gravissimi danni.
Nel 1805, un forte terremoto provocò molte apprensioni nelle locali popolazioni, al punto che
gli abitanti di Bellona, molto grati alla Madonna di Gerusalemme, in segno di tangibile gratitudine
per lo scampato pericolo, nel mese di luglio dello stesso anno, decisero di far scolpire una statua in
legno recante la sua effige, da far collocare nel Convento, con l’intesa che essa, nei giorni
precedenti la Pasqua di ogni anno, sarebbe stata trasferita nella chiesa parrocchiale di Bellona per
poi essere ritrasportata, in processione, presso il convento il successivo Martedì in Albis. La statua
in legno riproducente la Madonna, nel 1806, venne benedetta a Capua.
La storia del convento della Madonna di Gerusalemme subì un primo sconvolgimento nel
1809, poiché la congregazione religiosa dei Padri Serviti fu sciolta, in forza di una legge di
soppressione di tutti gli analoghi ordini religiosi. Di conseguenza i Padri Serviti dovettero
abbandonare il Convento.
Con la partenza dei Padri Serviti, rimasto pressoché incustodito il convento, fu deciso,
nell’anno 1810, di trasferire definitivamente la statua della Madonna nella chiesa parrocchiale di Bellona. Curiosamente, all’epoca di quella decisione, sorse una vivace contesa col comune di
Pontelatone che vantava una analoga pretesa.
Nel mese di ottobre del 1915 un incendio di notevoli dimensioni danneggiava la chiesa
parrocchiale di Bellona, con la distruzione della statua della Madonna e di quella di San Secondino.
L’anno successivo, cioè nel 1916, si procedeva all’acquisizione di una nuova statua della Madonna
che veniva consacrata nella giornata del Lunedì in Albis; statua che ancora adesso risulta collocata
nella chiesa parrocchiale;
La seconda guerra mondiale, con i suoi colpi di coda, nel 1944, finì con l’interessare anche il
complesso monastico del monte Rageto: un violento bombardamento da parte delle truppe
alleate danneggiava, infatti, il Monastero, alla cui ricostruzione si giunse solo nel successivo
anno 1955.
Il convento di Santa Maria di Gerusalemme continuò a rimanere un polo di attrazione
religiosa fino al 1977, anno in cui la chiesa ed il convento vennero acquistati da privati: da
quella prima compravendita iniziò un declino imprevisto ed inarrestabile dell’intero complesso
religioso dal quale non si è più risollevato. Alla prima seguirono altre compravendite, per cui la
proprietà di esso passò da un privato all’altro. Infine il tutto giunse alla famiglia Sapone. Il
passaggio ai privati fu la scaturigine di una serie di vertenze legali per la fruizione del luogo
sacro. La conseguenza è sotto gli occhi di tutti: i mancati pellegrinaggi hanno agevolato la
crescita di una fitta vegetazione spontanea, fatta anche di rovi ed arbusti impenetrabili, che ha
reso pressoché irraggiungibile il complesso religioso. Ormai sono trascorsi diversi decenni, per
cui, mentre nei più anziani rimane il ricordo del suggestivo pellegrinaggio al “Salemme”, tra
ripetute litanie religiose da cui si riprendevano a seguito di abbondanti libagioni, da consumarsi
lì, proprio sulla sommità di quel monte, in qualche slargo erboso, nei più giovani, invece, non è
rimasto alcunché di quella pratica devozionale, siccome mai sperimentata.
FINE SECONDA PARTE: SEGUIRA’ LA TERZA PARTE NEI PROSSIMI
GIORNI

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