30 giugno 2024 ✶ XIII Domenica del Tempo Ordinario (B)
Creati per la vita, non per la morte!
Abbiamo due episodi; ciò che li unisce sono due termini:
– la cifra ‘dodici’, indicata come anni di malattia per la donna e come età per la figlia del capo della sinagoga. Il numero ‘dodici’, lo sappiamo, è il numero che rappresenta le dodici tribù di Israele, quindi, indica tutto il popolo;
– l’altro termine è ‘figlia’, adoperato da Gesù per la donna che viene guarita e per la figlia del capo della sinagoga. In entrambe le situazioni Gesù guarisce attraverso una trasgressione: Gesù tocca la mano della bambina già morta (ed era proibito nel Libro del Levitico toccare un cadavere!) e questa ritorna in vita; nel secondo brano, è la stessa donna che compie questa trasgressione. Qualche sottolineatura:
> “Da dietro gli toccò il mantello: Gesù avverte che una “forza era uscita da lui”, e chiede: “Chi mi ha toccato le vesti?”. Cosa vuole dire l’evangelista? I discepoli sono accanto a Gesù, ma non gli sono vicini, loro lo accompagnano, ma non lo seguono. Non basta stare fisicamente accanto a Gesù per riceverne la forza della vita.
> “La tua fede ti ha salvata”. La tua fede? La donna ha trasgredito un precetto religioso; eppure per Gesù è un gesto di fede! Dio non si concede come un premio per la buona condotta, ma come un dono. Il premio dipende da chi lo riceve, il dono dalla generosità del donatore. E quindi nessuno si può sentire escluso dal Signore. E non solo. Gesù non la manda al tempio a offrire i due colombi come era previsto dalla legge, ma le dice “Va’ in pace!”. Va’ verso la felicità!
“Risurrezione” dei corpi, non solo “immortalità” dell’anima
I primi cristiani, quando annunciavano la vita eterna, trovavano forse un terreno favorevole, perché la filosofia dell’epoca affermava l’immortalità dell’anima; era un praeambulum fidei, ma anche un pericolo: l’immortalità veniva pensata in termini spirituali, invece, il cristiano crede nella risurrezione dei corpi. Oggi parlare d’immortalità, risurrezione… può suscitare il sorriso. Proprio quanto accadde a Paolo ad Atene: venne deriso come un ciarlatano e lasciato solo. “Su questo argomento ti sentiremo un’altra volta!” (At 17,16). Una certa filosofia, antica e moderna, si è sforzata di fare accettare la morte con razionale serenità. Viviamo per morire, siamo destinati alla morte. Gesù non dice: “Preparati a morire!”, ma “Preparati a vivere!” perché dalla cenere germoglia la vita. Gesù non è un “persuasore di morte” (peisithànatos). La sua risurrezione ci assicura che la morte è anche una soglia aperta sui cieli nuovi e sui mondi nuovi. I santi l’hanno compreso, ecco perché, accanto ad espressioni di angoscia, troviamo esempi di pace, addirittura parole di desiderio, come quelle dell’apostolo Paolo: “Desidero morire per incontrarmi con Cristo” (Fil 1,23), e di Francesco di Assisi che lodava il Signore “per sora nostra morte corporale”. Ricordiamo, infine, che “cimitero” in ebraico si dice “Casa della Vita”: i “cimiteri” sono in realtà solo “dormitori”, cioè luoghi in cui si dorme in attesa del risveglio. Quando entriamo in un cimitero, ci dobbiamo sentire circondati da una immensa folla di “dormienti” che attendono, come noi, il giorno della risurrezione. La bambina ebrea del racconto evangelico, di cui ignoriamo il nome, è la nostra piccola antenata. Ancora oggi, dopo duemila anni, essa non è morta, ma dorme.
BUONA VITA!