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LA MIRABILE STORIA DELLA CHIESA E DELL’OSPEDALE DI SAN LAZZARO DI CAPUA: LA CHIESA C’E’ ANCORA MA TUTTO IL RESTO E’ STATO RIMOSSO, COMPRESA LA MAGNIFICA FIERA CHE VI SI TENEVA ANNUALMENTE DELLA QUALE E’ RIMASTA SOLTANTO UNA VAGA MEMORIA QUARTA PARTE (terza parte pubblicata il 21 gennaio 2025)

Le cerimonie religiose raggiungevano il culmine del concorso di fedeli la Domenica di
Pentecoste in un crescendo di orazioni che avevano termine soltanto il successivo
Lunedì. Nonostante lo strabocchevole afflusso di gente umile, piena di fede e
devozione, quasi mai avevano luogo disordini o turbative dell’ordine costituito.
Una fiumana di persone si riversava nella piccola chiesa e nel contiguo
ospedale e le espressioni di manifestazione della loro fede erano quanto mai
spettacolari, eccessive e a volte ostentate e smodate. Per avere una idea della
dimensione di quella partecipazione corale al culto di San Lazzaro ci riportiamo ad
un breve passaggio del testo dello Jannotta, secondo il quale i fedeli “…hanno per
costume, e massimamente i forestieri, di salir la scala dello Spedale ginocchioni,
recitando benanche divote orazioni; di visitar le stanze superiori e di raschiar coi
coltelli le otto colonne di macigno, che sostengono la loggia coperta dinanzi alle
stanze, portando seco loro, come una veneranda reliquia la raschiatura, della
quale si servono secondo la qualità dei mali, applicandola con ferma credenza
quando alla piaga, e quando alla ferita; e veramente ne sperimentano ammirevoli
effetti, compiacendosi così il Signore di rimeritar con fausti eventi la loro semplice
animosa fede
”.
I capuani di oggi, se non disponessimo della riportata qualificata
testimonianza, troverebbero impossibile una tale esagerata forma di esercizio di
devozione verso San Lazzaro. Avremmo potuto pensare a tutto circa il modo di
pregare il loro Santo del cuore, ma non avremmo mai considerata l’ipotesi che molti
fedeli praticassero siffatta modalità di ascensione al piano superiore dell’ospedale e
che addirittura usassero grattare finanche le colonne del nosocomio per asportarne il raschio ritenuto una reliquia da applicare sulle ferite o in funzione apotropaica e protettiva contro i possibili mali futuri.
Le forme di smisurata divozione non erano solo quelle indicate, in quanto ve
ne erano altre ancora più impressionanti, di cui neanche si poteva immaginarne la pratica
e di cui, ancora una volta, lo Jannotta ci fornisce una ulteriore puntuale,
attestazione, quando annotava che “altri (fedeli) ve ne sono, che o trascinando la
lingua per terra, o su le ginocchia sostenendosi, e percotendosi il petto, arrivano così
dalla porta di nostra Chiesa fin dove sta collocata la Statua del Santo. Girano altri
mezzo ignudi tra la folla, battendosi in più parte del Corpo con certa spugna
intessuta di minutissime punte, sicché ne grondi anche in qualche copia il sangue,
vengono altri a sì celebre solennità a piedi ignudi fin da i loro distanti paesi, nulla
curando, delle lunghe vie, qualunque egli fosse l’incomodo e lo strazio
”. Tuttora
sussistono pellegrinaggi nel corso dei quali dei fedeli si battono il petto con dei
nerbi, degli scudisci o delle sferze (i cosiddetti battenti) fino a provocarsi la
fuoriuscita di sangue, nel mentre si portano al santuario a cui sono diretti; ancora
adesso si vedono pellegrini che procedono ginocchioni nella fase di avvicinamento al
luogo della loro devozione; non si sono, però, mai visti, già da alcuni secoli, fedeli
che procedono trascinando la loro lingua per terra, come segno della loro sincera
professione di fede o raschiando amorevolmente finanche le mura o le colonne di
un santuario per fare incetta della polvere da esse erosa, da conservare per sempre,
confidando nel suo potere taumaturgico e beneaugurante, in relazione alla sacralità
del luogo di provenienza. La descrizione particolareggiata delle modalità degli
affollati pellegrinaggi alla Chiesa ed all’Ospedale di San Lazzaro ci danno la cifra
dell’importanza del culto di San Lazzaro nella città di Capua, cittadina che, per tale
motivo, era divenuta, nel corso di ogni anno, il polo attrattore di decine, se non di
centinaia di migliaia di fedeli. L’afflusso dei visitatori era tale che nella chiesa
dovevano aggiungersi dei confessionali per soddisfare le esigenze dei pellegrini che
desideravano confessarsi in quel luogo sacro, carico di mistiche suggestioni ed
ispiratore di miracolistiche aspettative. Quanti si confessavano nel giorno della festa
di San Lazzaro guadagnavano l’indulgenza plenaria, da rinnovare con cadenza
settennale. La partecipazione popolare alle messe del giorno della ricorrenza del
Santo era tale da determinare una calca intorno alla chiesa, che, per le sue ridotte
dimensioni, non poteva accogliere che una piccola aliquota della fiumana umana
che la contornava che finiva col disperdersi -in una fitta coltre di polvere, quella che
sia alzava dal suolo- tra i numerosissimi banchi di vendita distribuiti in una grande spianata, definita la “gran Piazza” (Piazza d’Armi) di Capua, a quel tempo ancora sussistente, oggi coperta dall’ex campo profughi, dalle case popolari, dal liceo scientifico e da frutteti e coltivazioni agricole. Insomma, di quella immensa area di pertinenza del complesso religioso non è rimasto che la sola viuzza che la fiancheggia, un esiguo spazio di rispetto intorno alla chiesa ed un breve cortiletto d’ingresso alla stessa.
FINE QUARTA PARTE

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