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VANVITELLI, L’UOMO: LE ANSIE E LE PREOCCUPAZIONI ALLA VIGILIA DELL’INAUGURAZIONE DELLA FAMOSA CASCATA DEL PALAZZO REALE.

Dallo studio della corrispondenza privata del Vanvitelli, raccolta da Franco Strazzullo nell’opera denominata “Le lettere di Luigi Vanvitelli della biblioteca Palatina di Caserta”, è possibile conoscere l’andamento dei lavori alla vigilia dell’inaugurazione della nota cascata del Palazzo Reale di Caserta. Le lettere consultate ci danno la possibilità di conoscere i momenti più emozionanti ed esaltanti di quella storica esperienza, che costituisce una pietra miliare nella storia dell’architettura, ancora oggi oggetto dell’ammirazione dei visitatori di tutto il mondo. Eppure il lavoro del Vanvitelli non fu semplice, anche perché, molto spesso, osteggiato dall’invidia di quanti, anche esperti del settore, non credevano nella possibilità di far pervenire quasi un fiume di acqua dalla sorgente, sita in provincia di Avellino, fino a Caserta, dopo un percorso accidentato e ricco di dislivelli. Si riportano i passaggi più salienti della sua corrispondenza per entrare nello stato d’animo dell’architetto nella fase conclusiva dei lavori. Nella lettera del 28 aprile del 1762 (Questa lettera del Vanvitelli, come tutte le altre riportate nel libro dello Strazzullo, è indirizzata al proprio fratello, canonico residente a Roma) illustra i lavori intrapresi per omaggiare il sovrano in occasione dell’arrivo della prima acqua alla cascata: “Come potete credere, non poco sono intrigato nell’ordinare le cose, ….., che quando il Re venga non vi sia acqua ma che arrivi dopo alla di lui presenza; per ciò fare, già si è fatto uno scaricatore nell’ultimo arco dell’arcata verso il traforo del Monte di Garzano; qui l’acqua sarà venuta il giorno avanti, e tutta si scaricherà. Io poi saprò, per la prova che farò, quanto tempo occorrerà per ponervi la saracinesca nello scaricatore ed aprire l’altra per farla scorrere per l’acquedotto sotto il monte per il traforo, fino al loco della mostra, cioè distante un miglio dall’arco suddetto, e lo farò mediante due o tre spari di mortaretto, i quali segneranno quando viene il Re al divisato loco”. Pensate con quanta cura fu preparato lo spettacolo della prima discesa dell’acqua della cascata: il Re doveva arrivare in loco ed assistere, quindi, lui per primo, all’inaugurazione della cascata. Il Vanvitelli ritenne che la visione della sua opera già in attività avrebbe suscitato nel sovrano una suggestione minore di quella che avrebbe provocato l’arrivo impetuoso del primo fiume di acqua scrosciante rumorosamente lungo i vari salti della cascata. E naturalmente per essere certo che tutto funzionasse alla perfezione nel giorno fissato per l’inaugurazione della cascata eseguì non pochi sopralluoghi, anche di notte, come si evince da quanto riportato nel passaggio di una lettera del 30 aprile 1762, data in cui fornisce l’ennesimo aggiornamento al congiunto circa l’andamento dei lavori presso la reggia: “Vi scrivo oggi, perché domani non posso avere il tempo di farlo, mentre domattina, a Dio piacendo, si farà la prova, alla sordina, dell’acqua. Sono ritornato questa sera all’una e mezza di notte dagli Archi, ove è arrivata l’acqua, avendola fatta imboccare questa mattina dalle sorgenti; vi sono volute undici ore per arrivare, primacché avesse riempito il condotto. E’ giunta all’Ave Maria in punto, e la caduta che fa, quantunque io la faccia cadere in loco basso, che per altro saranno 50 palmi, non ostante fa tremare il suolo dalla percossa. Ho aspettato un poco, ma per vedere tutto il volume avrei dovuto stare ancora un paio d’ore, ed aspetterò levarmi la curiosità domattina; quando è arrivata era di color d’inchiostro, stanteché lava 22 miglia d’acquedotto sporco di tutto”. Quanto trascritto ci documenta le prime impressioni dell’architetto che assistette alla prova notturna del primo passaggio dell’acqua dalla sorgente alla cascata, annotando il tempo complessivo di percorrenza, rilevando, altresì, che quella giunta nella fase iniziale era nera come l’inchiostro avendo dilavato ben 22 miglia di condotte sotterranee. Nella lettera del 4 maggio 1762 riporta, tra l’altro, una bravata di alcuni suoi operai che, per l’entusiasmo dell’opera portata a termine, vollero calarsi nella condotta dell’acqua , nel corso di una ulteriore prova di funzionamento dell’acquedotto, col concreto rischio di rimanervi annegati: “Due , più animali che uomini del lavoro, vollero far la bravata di correre nel condotto avanti all’acqua, dopo che fu data; questi correndo per il traforo passarono, ma arrivarono mezzi morti perché l’acqua sempre gli era sopra, gl’impicciava il corso nei piedi e gli bagnava il culo ogni tanto. Basta, la possono raccontare, perché se in quella oscurità del traforo cadevano, non vi era vita per loro; le mani che strofinavano sulla liscia tonaca del muro li guidava; dissero che appresso li spingeva un vento grande; questa era dell’aria spinta occupata dal volume dell’acqua. Chiunque avesse comandato a questi matti cimentarsi tal cosa avrebbe meritato castigo”. Anche nei secoli passati c’era chi, senza essere comandato, correva rischio inutile per eccesso di entusiasmo. Il Vanvitelli, prima della positiva prova dell’acquedotto, dovette subirsi le velate critiche di quanti non credevano possibile l’opera da egli intrapresa. Documenta le dicerie in questione in un altro passaggio della lettera del 4 maggio, allorché annotava che “Fra le molte minchionerie che dicevano, che l’acqua ritornava addietro, ve ne era un’altra in campo e cioè che l’acqua non poteva mai passare per il traforo, perché era sbagliato il livello e la compressione dell’aria ne avrebbe impedito l’effetto, ancora che avesse avuto pendenza. Oh che filosofastri da commedia!”. Le prove del funzionamento dell’acquedotto, denominato poi carolino, ebbero, dunque, luogo in un clima non certo sereno. E venne poi il giorno tanto atteso, in cui il piccolo Re Ferdinando IV assistette alla “mostra” dell’acqua: la famosa cascata, ancora oggi oggetto di ammirazione a livello mondiale, vera gloria per il grande architetto. Una lettera dell’8 maggio 1762, ugualmente indirizzata dal Vanvitelli al proprio congiunto, ce ne fornisce un sintetico resoconto: “Carissimo fratello, ieri finalmente fu il Re a vedere la mostra dell’acqua, la quale riuscì assai bene. Vi erano le guardie italiane e svizzere, con quelle del corpo a cavallo, che facevano complesso molto decoroso; v’intervenne moltissimo popolo dei paesi in contorno; questi non furono ammessi nel circondario, onde per vedere furono costretti ponersi nella pendice della collina vicina incontro la mostra, cosa che produsse alla vista questo popolo unito come stesse in un anfiteatro”. L’inaugurazione della cascata vide la contestuale presenza del Re – il piccolo Ferdinando IV- e dei dignitari di corte, nonché del popolo assiepato sule circostanti colline. La lettera soprariportata sembra riportarci a quella storica giornata, in cui il mondo, ma soprattutto il nostro territorio, si arricchiva di un’opera d’incomparabile bellezza.

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